In occasione della giornata
mondiale di preghiera per le vocazioni (21 aprile), nella nostra comunità si è
svolta la festa del Franciscanum, alla quale hanno partecipato anche i nostri
familiari, per lo meno coloro che hanno avuto la possibilità di essere presenti.
Con loro abbiamo condiviso
innanzitutto la preghiera (ed è infatti con la celebrazione eucaristica di
sabato, nella quale abbiamo ricordato la dedicazione della nostra cappella, che
abbiamo aperto questo week-end), i pasti, ed infine i momenti fraterni (ad
esempio la presentazione della comunità e dei servizi pastorali svolti da
ciascuno di noi). Alla fine del pranzo di domenica, i nostri familiari sono
ripartiti verso casa, chi per mete più lontane (Calabria), chi per mete più
vicine (Abruzzo, Lazio e Marche).
Quello che ci portiamo nel cuore da
questa esperienza è in primis la
gioia di aver potuto condividere con i nostri genitori, fratelli e sorelle uno “spicchio”
della nostra quotidianità nella sua concretezza: questo è un aspetto
importante, specialmente per aiutarli a superare tutti quei pregiudizi e
stereotipi che spesso si possono avere sulla vita del frate.
In secondo luogo (e questo è forse
l’aspetto principale) ci rimane nel cuore la felicità di aver potuto rivedere
quelli che sono sempre i nostri cari, anche nella lontananza fisica (ma non
nello Spirito).
E qui è bene specificare che
entrare in convento non significa rinunciare ai propri affetti, ma
semplicemente viverli in una maniera diversa, nel senso che il rapporto con la
propria famiglia non condiziona più le proprie scelte di vita, che sono invece
fatte a partire dalla relazione con un Dio che diventa il punto di riferimento
della propria esistenza; questo però non significa non avere più niente a che
fare con essi.
A conferma di ciò, san Francesco diceva
che nei momenti di difficoltà non bisogna mai abbandonare i propri familiari (è
celebre l’episodio in cui vendette il libro dei Vangeli, aiutando con il
ricavato la madre povera di un frate) e che la madre di un frate è la madre di
tutti i frati.
Queste affermazioni ci aiutano a
comprendere che un vero frate non rinuncia mai alla propria famiglia carnale:
essa semplicemente non ha più il primo posto, che spetta solamente a Dio. Il
quale non si pone in competizione con essa, anzi, il suo scopo è realizzare il
suo vero bene, cioè renderla parte di una famiglia immensamente più grande, che
è la Chiesa.
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